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(https://lozafferaneto.it)
Una recensione


Il percorso, partendo dal davanzale degli Iblei che si affacciano sull’Ionio dell’estremo sud, è sofferto ma variegato. In tempi non lontani era un tracciato polveroso d’estate o infangato dalle piogge invernali dove arrancavano i carri trainati dai muli. Forti e resistenti come i montanari, non si lasciavano prendere dalla foga di liberarsi dalla stretta del pettorale. Tiravano e avanzavano. Epoche tramontate, sconosciute alle nuove generazioni.

Sui quasi 40 chilometri, niente più quadrupedi al traino. Sulla carreggiata oltre Palazzolo Acreide, ormai asfaltata e adattata ai veicoli, incontriamo qualche rara automobile. La nostra vivace Lady Daniela al volante, abituata ai tornanti alpini, ama farci provare la stretta delle cinture che evitano di sballottarmi nel vano posteriore dove seggo.
Il SUV Fiat è un pacioccone con il fiato corto. Non le permette di mettere a nudo le doti, nascoste, di pilota di rally. Lady D. sorride al mio commento senza sentirsi adulata.

La vista scorre un panorama di vallate immerse tra colline aride,  superfici nude che a sorpresa si coprono di macchie verdi o popolate da qualche pala eolica che accetta la spinta delle correnti di aria, altre immobili, abbandonate a sé stesse. Scheletri con articolazioni inerti.

Non ci è voluto molto per convincermi a seguire la giovane e il suo partner, uno dei miei. Andiamo a trovare Irene e Alessandro. Venuti a conoscenza della nostra breve presenza nell’isola, hanno insistito per vederci in quel di Buccheri, uno dei tanti borghi delle alture siracusane che d’inverno, sferzati dai venti del nord, si coprono di bianco e con alle spalle un passato di contadini e pastori. Vassalli che a fatica sopravvivevano all’ombra del potere illimitato dei feudatari scomparsi assieme alla polpa di cui non restano nemmeno le ossa che la sostenevano.
Vita dura prima, orizzonti non troppo sorridenti oggi.

Sfioriamo il borgo.
Le scanalature di una breve discesa piastrellata ci scuotono quasi volessero disintegrare il veicolo prima che la serpentina di un’amena vallata ci conduca a destinazione.
Il tramonto è vicino, è caldo e le cicale si sfogano con brevi pause collettive al segno della bacchetta di un invisibile maestro che interrompe il concerto. Nel silenzio ovattato recuperano energia. Qualche solitaria pizzica sulla corda dello strumento, manifesta forse il suo dissenso con un brevissimo frinire, quasi un mugugno, e attende.
È qui che lo Zafferaneto è pronto a darci il benvenuto.

“Masseria fortificata”, ho letto su internet. 
Altro che! Nata, sembra, nell’800, più che una masseria fortificata rassomiglia a un monolito a prova di cannone. L’ingresso non lo dice  ma..., ecco anche le feritoie dove gli occupanti infilavano le canne della doppietta, quando attorno si aggiravano affamati o malintenzionati che l’evoluzione ha costretto a riadattarsi.

La vallata sulla quale sbocca il belvedere, un vasto terrazzo con i tavoli in attesa degli ospiti, è uno spettacolo per tavolozze maestre.
Il tramonto vicino, l’orizzonte si colora di rosa variegato con tinte sfumate di blu.
Che strano! Una nebbia policromatica si adagia sull’uliveto che risale il pendio con il sommo coperto da una cresta di pini. Un debole soffio di grigio copre il verde opaco degli ulivi che di tanto in tanto si fanno più scuri o più chiari. Visione eterea, diafana come il fluttuare di un velo al soffio tenue della brezza. Osservando mi sembra di navigare in un mare sospeso nel vuoto, rilassante assieme  all’immagine dei ragazzini che godono quieti e in silenzio la frescura della piscina.

Una simpatica brunetta c’informa che I. è assente. 
«Sarà presto di ritorno.»,  conferma A., l’artista dei piatti allo zafferano venuto ad accoglierci. 
I. e A., abbreviando, avanzano sulla scia di un sentiero che da anni tracciano passo dopo passo. Non solo l’agriturismo. La schiena piegata, hanno coltivato e coltivano con le loro mani i delicati pistilli del fiore cresciuto sulle alture, il dio zafferano in cui hanno creduto e credono.

Due persone tanto diverse  e tanto unite e decise, spinte da sentimenti comuni e dall’amore per la terra che calpestano, una terra richiamata a vita. Non li ha piegati la tramontana tagliente che d’inverno congela il respiro, né la calura delle estati siciliane. Hanno seminato, zappato, diserbato e raccolto “l’oro rosso” delle colline ancora incontaminate, spesso abbandonate perché nessuno in tempi “moderni” è disposto a sporcarsi di terra per un tozzo di pane bagnato di sudore. Loro invece, pronti ad attaccarsi con i denti a una sporgenza di granito levigato, continuano imperterriti la scalata.

Meriterebbero di più ma, oltre a un po’ di fortuna, fare conoscere e apprezzare un prodotto nella cacofonia del globale è un’impresa che assorbe tante risorse. Che fare? Buttare in aria anni di sacrifici e restare sospesi con lo sguardo speranzoso sull’orizzonte, in attesa della provvidenza?

No, non è da loro! L’occasione avvistata, proiettati nel domani sebbene timorosi per l’importanza della sfida, l’hanno colta aprendo un varco al loro zafferano genuino, pronto a guarnire, nobilitare piatti che stuzzicano il palato degli ospiti.
Piatti ricchi di un gusto particolare, piatti dello “Zafferaneto”!

Su di essi non mi attardo perché non si discute sul “de gustibus” e poi potrebbe apparire di parte. Dico solo: Provare prima di parlarne! D’altronde gli apprezzamenti non mancano.

Al seguito di I. arrivata, m’immergo con gli altri nella struttura.
I solai e i ballatoi interni si adornano di suppellettili dell’artigianato rustico contadino, si accordano agli acciottolati dei cortili. Le camere vaste e dotate di servizi possono ospitare quasi due decine di persone. Arredate con mobili dell’artigianato dell’isola e letti in ferro battuto, esaltano l’immagine della vita di campagna e delle sue tradizioni. Chi, nel frastuono industriale quotidiano, costretto a tuffarsi nei flutti della corrente, sente il bisogno di recuperare, trova nello Zafferaneto il silenzio e l’energia per ricaricarsi. Nella notte, i versi delle civette e i latrati dei cani non penetrano le mura.

Ai nostalgici non mancheranno poi gli echi dei rumori che in città rincorrono per “rigenerarsi”. Eventi mondani, serate musicali, rievocazioni storiche, mitigano l’assenza del centro urbano, s’innestano nel contesto agreste arricchiti dagli odori della campagna pronta di giorno ad accogliere escursionisti immersi nei sentieri e nelle vallate dei dintorni che regalano qualche sorpresa.

Ma chi sono Alessandro, Irene, e gli altri personaggi che premono sui pedali dello Zafferaneto?

Alessandro, fisico asciutto, ben oltre gli uno e ottanta, taciturno e pervaso da una calma difficile da intaccare. “La calma è la virtù dei forti”, dice un vecchio proverbio. Consapevole e conseguente, in presenza della nuova sfida, si è preparato ad accoglierla. Nessuna improvvisazione e i menu raffinati, anche quelli che la fantasia gli suggerisce, prima di addobbare i piatti hanno impegnato i suoi gastro-neuroni, accarezzato mentalmente e poi realmente le papille gustative. Solo dopo aver dato loro il suo tocco maestro, arrivano sui tavoli. Alessandro alle parole preferisce i fatti, alla visione fa seguire la realtà.
Superfluo aggiungere altro.

Irene, la sua compagna. Una silhouette slanciata, estroversa, è un gomitolo di energia, un vulcano sempre attivo. Gli occhi ammiccanti ti cercano e le labbra sono sempre pronte al sorriso. Ma attenti! Aperta e generosa sa anche essere determinata. Sotto l’aspetto gentile e accattivante, c’è uno strato che non si lascia scalfire. Irene, assieme al pulsare dell’animo della struttura, ne incorpora l’immagine che gli ospiti sanno apprezzare.

E poi ogni tanto c’è Paolo il papà di Alessandro. Estroverso, gioviale, segue con un apporto valido lo sviluppo dello Zafferaneto. Paolo non si fa pregare anzi anticipa l’azione. Solare, coinvolge, comunica forza, sicurezza, si amalgama al solido che la costruzione emana. Se presente, il brindisi con gli ospiti che apprezzano le sue attenzioni è d’obbligo. Con lui accanto il termine “impossibile” non esiste.

Il terzetto si arricchisce di due perle rare.
Z. e M., le iniziali. Sorelle gemelle, simpaticissime, gli occhiali da vista sul naso di una di loro fanno la differenza. Districandosi tra cucina e tavoli, svolgono il compito con dedizione ed entusiasmo. Amano il faceto e con una semplicità di modi sorprendente, estranea a ogni sottigliezza, ti conquistano, ti fanno sentire di casa.
Peccato non poterle incontrare più spesso.


Leggevo in un quotidiano locale il commento di un espatriato siciliano con radici nell’isola, uno che occupa le alte sfere delle classifiche mondiali di ricchi e famosi. Accorda alla Sicilia tutto ciò che oggi può rendere invidiabile una realtà baciata dalla natura e dalla storia che ha alle spalle.

Avanzando tra spazi e locali adibiti agli usi, penso che le oasi curate con dedizione e amore, immerse nella natura, nutriscono e consolidano il senso di benessere indispensabile a una degna quotidianità che la piena travolgente del virtuale effimero, rischia di intaccare.
Lo Zafferaneto, a mio umile parere, è una di queste oasi.

C.S.M., luglio-agosto 2022

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